Le mie esperienze nell’accoglienza di migranti minorenni.
Sono una mamma affidataria che da qualche tempo accoglie in emergenza – affido SOS per un periodo da 3 fino a 6 mesi al massimo – ragazzi eritrei migranti che arrivano in Svizzera alla ricerca di una vita migliore.
Spinti quasi sempre a scappare dai genitori per sfuggire a guerre o per motivi socio-economici, non di rado mentono sulla loro età, ben sapendo che, togliendosi qualche anno, possono usufruire di alcuni diritti che la nostra legge riserva ai minorenni. Nascondono però non solo l’età, ma anche i sentimenti. Non possono mostrarsi deboli.
Quando arrivano da me dal centro asilanti, provano sollievo nell’entrare in una famiglia e si rilassano lasciandomi intravedere il loro animo di bambino. Li osservo nei loro gesti e nelle espressioni del viso. Quello che leggo nei loro occhi sono tristezza, nostalgia e talvolta paura di una società a loro sconosciuta. Non si esprimono a parole, e nemmeno possono farlo, causa un inadeguato inglese o italiano imparati durante quei precari viaggi. E quindi si chiudono velocemente in sé stessi, non lasciando più trasparire emozioni.
Per difendersi dalla sofferenza, probabilmente, evitano anche di affezionarsi a chi per un breve periodo li ospita. Sanno infatti che al massimo nel giro di sei mesi saranno trasferiti in un foyer oppure otterranno un congiungimento famigliare con un parente stretto già residente in Svizzera, oppure ancora lasceranno il nostro paese per un’altra nazione. Sono molto bene informati sulle prestazioni sociali dei paesi europei e ovviamente il loro sogno è raggiungere i conoscenti che hanno trovato una sistemazione.
La mia vita con questi adolescenti è un’esperienza nuova e diversa da quella fatta con i ragazzi della nostra cultura. Inutile ribadire che la lingua è il maggior ostacolo nella vita di ogni giorno. Comunichiamo nel poco inglese disponibile e a gesti. Durante il loro soggiorno cerco di insegnare loro un po’ di italiano e di introdurli al nostro modo di vivere. Il rapporto con questi giovani richiede una certa fermezza da parte mia. Il bagaglio culturale di origine è basato su regole di vita severe dettate dalla loro religione cristiana e sono cresciuti con una netta suddivisione di ruoli fra maschi e femmine. Mi è capitato di dover tirar fuori tutta la mia autorevolezza per far capire loro che da noi il ruolo della madre di famiglia non è quello di una domestica. Non è semplice coinvolgerli nella gestione dell’economia domestica, non sono abituati a collaborare nella preparazione del pasto, ad aiutare a riordinare, a pulire le camere.
Quando fra di noi un motivo di conflitto diventa difficile da gestire a causa dei problemi di lingua, ho il sostegno degli assistenti sociali coadiuvati da un’interprete. Purtroppo, in generale, i ragazzi si mostrano restii al colloquio, anche nella loro lingua, quasi fossero disinteressati. Un giorno i ragazzi avendo saputo che il Cantone mi versa una retta per il loro mantenimento mi chiesero questi soldi per gestirli autonomamente. Essi avrebbero voluto comperarsi abbigliamento superfluo, accessori, un telefono costoso di ultima generazione per restare connessi con gli amici e i conoscenti in altri paesi. Mi sono seduta assieme a loro e con calma ho spiegato che ci sono da affrontare anche spese che non si vedono, come ad esempio l’affitto che va pagato ogni mese, e che la gestione della retta in ogni caso era compito mio. Come a qualsiasi genitore di un adolescente, non mi è sempre facile dire no alle loro richieste, devo anche scendere a compromessi.
Durante il soggiorno in Svizzera questi ragazzi hanno la possibilità di frequentare i corsi cantonali di integrazione dove imparano l’italiano e vengono avviati all’apprendistato dopo aver svolto degli stages e scelto il tipo di professione più congeniale. Non tutti però approfittano di questa offerta. Vivendo da noi vedono il modo di vivere degli altri adolescenti ed entrano in conflitto con loro stessi e con quanto appreso a casa loro. L’educazione ricevuta era basata su divieti e obblighi quali, per esempio, non bere alcol, non fumare, non mangiare carne di maiale, frequentare la chiesa. Hanno imparato che le donne sono sottomesse agli uomini, che esse devono servire l’uomo in tutto e per tutto. Noi abbiamo abitudini diverse.
Questi giovani sono solo degli adolescenti, con tutte le problematiche che questa età porta con sé, con i suoi alti e i suoi bassi, e fanno le prime esperienze di vita in una realtà differente dalla loro e forse con il peso di infrangere i comandamenti ricevuti. Sono ragazzi che hanno lasciato le loro radici e ancora non sanno dove e se potranno metterne di nuove. La mia famiglia rappresenta per loro solo un breve passaggio, che dura dai 3 ai 6 mesi circa. Tutto quello che posso fare è accompagnarli nel modo migliore per il breve tratto di strada che compiamo insieme.
E’ un’esperienza di vita intensa, anche faticosa sul piano educativo, ma che rappresenta un arricchimento per la mia crescita personale.
Una mamma affidataria SOS
pubblicato su InfoATFA settembre 2016