Una giovane mamma, Chaiene, la cui figlia è stata in affido per quattro anni, ha potuto descrivere alle famiglie affidatarie come si vive l’affido “dall’altra parte”, dando la possibilità a famiglie affidatarie e ad operatori di riflettere sul proprio ruolo, sulla relazione e sulla collaborazione con la famiglia naturale.

“L’inizio è stato molto duro, non conoscevo la famiglia affidataria. L’assistente sociale mi aveva detto soltanto che si trattava di una coppia giovane, senza figli e che erano in gamba. Non ho avuto la possibilità di conoscerli subito”.

“Quello che più mi faceva stare male era sentire mia figlia chiamare i genitori affidatari mamma e papà.”

Poi però c’è stato qualcosa che ha dato molta forza a Chaiene…

“La famiglia affidataria mi informava su tutto quello che riguardava mia figlia, era trasparente con me e sia io sia loro posizionavamo al centro delle nostre vite il bene della bambina.

È stato grazie al loro coinvolgimento che ho potuto sentire un po’ meno la mancanza di mia figlia. Davanti alla bambina mi valorizzavano, erano onesti e chiari nei miei confronti e tutti lavoravamo avendo quale obiettivo il ricongiungimento. Se si scorda il fine ultimo poi non funziona più niente.

Dal momento che con la famiglia affidataria avevo un buon rapporto ho iniziato a sentirmi più tranquilla e riuscivo a concentrarmi meglio sui miei studi. Grazie a loro ho preso in mano la mia vita”.

Ma quali sono per Chaiene le caratteristiche fondamentali che deve possedere una buona famiglia affidataria?

“La trasparenza è fondamentale, ma soprattutto il fatto di avere bene in mente che l’obiettivo dell’affido è il ricongiungimento con la famiglia naturale e quindi tutti devono lavorare su questo punto. È inoltre importante spiegare subito ai bambini i vari ruoli di ognuno e mai svalorizzare né la famiglia naturale né quella affidataria.”