John Bowlby

Oltre a Freud e Jung, Bowlby è uno degli psicoanalisti il cui nome è diventato noto e le cui idee sono familiari anche a persone molto lontane dal mondo della psicologia e della psicoterapia. L’obiettivo di questo libro è di offrire un compendio della sua opera, che proprio per la monumentale vastità può essere scoraggiante, e una prospettiva storica sull’evoluzione delle sue idee. John Bowlby è probabilmente, dopo Freud, lo psicoanalista più citato dalla letteratura non psicoanalitica. Eppure, il suo nome non è mai stato, allora come oggi, tra i più familiari all’interno dell’ortodossia psicoanalitica, fatta eccezione per qualche riferimento obbligato ai concetti cui il nome di Bowlby viene abitualmente associato (deprivazione materna, attaccamento, separazione, perdita, base sicura). Questo volume può rappresentare allora una miscela equilibrata di elementi biografici teorici e clinici che introducono il lettore al pensiero di Bowlby e ai filoni di pensiero e di ricerca che alla sua opera si rifanno. La parte biografica del libro è una sorta di deliziosa “Casa Howard” psicoanalitica, in cui luoghi e personaggi rivivono nel quotidiano postbellico, intrecciandosi con le vicende umane, familiari, professionali del suo scopritore. La parte teorica inquadra la teoria dell’attaccamento dalla sua origine, cesura e collegamento fra etologia e psicoanalisi, all’articolazione delle differenze con le altre teorizzazioni, fino a recentissime ricerche sugli stili di attaccamento. La terza e ultima parte del volume propone le implicazioni cliniche e sociali di questo discorso. Ecco, forse alcune delle vignette cliniche, desunte dalla pratica psicoterapica di Holmes, non riescono a esplicitare quel che si prefiggono. Si tratta, comunque, di un testo appassionato e fedele, che trasmette l’impressione di un terapeuta e ricercatore innovativo ma solitario.

Ed. Cortina Raffaello, Collana Psicologia clinica e psicoterapia, pp 254

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